“Liberi Pensieri” è un’Opera poetica che nasce sul solco primitivo delle canzoni oracolari, popolate da pensieri sconnessi dal normale assetto logico-organizzativo delle frasi. Pensieri volatili e fragili come il cristallo fanno della poesia un’idea trasparente agli occhi del lettore, che di volta in volta si cimenta a immedesimarsi nella lettura, trovando, talora, punti di contatto interessanti con il suo personale pensiero.
Il fulcro dell'Opera sta nella contrapposizione antitetica tra il giorno e la notte: il buio e i suoi suggerimenti sinestetici sono prediletti poiché intendono svelare null’altro che l’indispensabile, altrimenti invisibile avvolto in un caotico fascio di luce. La poesia vera nasce dalla notte, che con tenerezza arriva a rassicurare dagli affanni che il giorno porta con sé. La notte, intesa nel suo lato riflessivo, è inoltre raccontata quale portatrice di consigli, che arrivano come pensieri astratti alla mente dell’uomo.
Il gioco di luci ed ombre è contrassegnato da una poetica essenziale, che abbraccia la mitologia greca strumentalizzando il suo antico fascino per spiegare le situazioni reali, i fatti o i sentimenti che muovono l'animo, la cui preghiera sembra essere prontamente raggiunta da divinità o entità spirituali malevoli o benevoli.
Il lessico, multiforme, soggiace tra sogno e primitivismo. Le parole sono sganciate dalla dimensione puntuale del presente, trovando un posto più consono nel passato, imprecisato e irrisolto, che, come nei sogni, si manifesta in visioni di natura astratta, dispiegando forme e colori originali.
Raccolte in maniera appositamente scomposta, le poesie sono lasciate alla libera interpretazione del lettore, che le consuma, associandole a specifiche e personali relazioni di stati d’animo. Il verso è voluto inconsistente, non perché manchi di materia, ma perché quando si tenta di afferrarlo questo sfuma nel passato: ed il passato è panico e come tutto, anche le suggestioni poetiche fuggono dal metro come dal tempo. Tra poesia e autrice si crea un gioco di affinità regolato dall’imperfetto, che scandisce, seppur obliquamente, ogni singola parola.
L’intento è di lasciare il segno chiaro delle grotte primitive in cui il mondo circostante è preghiera oracolare, che sublima le paure più intime non nel bello, ma nel vuoto di una dimensione astorica e indefinita. Un canto senza musica di cui il verso non è portatore del tutto.
In quest’Opera la poesia è nel mezzo, o meglio, in medias res. L’ispirazione poetica è colta nel suo agire sul poeta e sul lettore come un oracolo che arriva alla mente dell’indovino, stabilendo un rapporto tra i due, entrambi in balia di un futuro turbolento e incerto: si parla della vita nel suo dispiegarsi, quale pendolo oscillante tra gioie e dolori.